Non ho raccontato la mia storia perché penso che sia straordinaria o particolarmente interessante. Penso sia una storia come tante, e non è nemmeno arrivata al suo “lieto fine”: non ho ancora raggiunto il mio obiettivo, continuo a vivere di altro e navigo con una visibilità di qualche mese.
Ma sono partita. Mi sono scrollata via dalle gambe un po’ di quella fanghiglia appiccicosa che mi impediva di muovermi, e sono partita. Cominciando a fare cose – tra cui prendere una decisione sul mio futuro professionale, creare la Community Impantanate di Successo o iniziare a scrivere delle mie esperienze e riflessioni – che anche solo un anno fa non mi vedevo capace di fare.
Anche se non è una “storia di successo” nel senso a cui siamo abituate a pensare, oggi io vedo come un successo il punto a cui sono arrivata.
Eppure è lo stesso punto a cui, nella prospettiva con cui tendevo a vedere le cose prima del recente “spantanamento“, non avrei dato alcuna importanza… quindi, in fondo, cosa è cambiato? Solo il mio punto di vista, a quanto pare.
E’ per questo che ho deciso di raccontare storie, e che ho pensato avesse un senso cominciare con un pezzetto della mia (nonostante le facce terrorizzate delle prime persone a cui, mesi fa, ho comunicato questo proposito! 😅).
Ho sempre pensato che le storie siano come uno specchio: quasi sempre nelle esperienze di altri riusciamo a vedere quello che facciamo fatica a vedere nella nostra.
Per cui può succedere che, quando ci riconosciamo anche solo un poco nell’esperienza di un’altra persona, guadagniamo un punto di vista nuovo anche sulla nostra esperienza. E guadagnare un punto di vista nuovo produce un effetto potentissimo.
Qualcosa nel nostro cervello fa un click, come una lampadina che si accende e illumina un pezzo di stanza che prima non potevamo vedere. E magari ci viene in mente qualcosa – un’ispirazione, un’idea, un proposito – che non ci sarebbe mai venuto in mente continuando a guardare sempre e solo nel solito cono di luce.
Quello che non sapevo – e che ho scoperto solo quando ho cominciato a rifletterci e a ricomporre i tasselli del mio percorso per raccontarlo, appunto, come una storia – è che questa cosa dei click e delle lampadine accade non solo scoprendo le storie di altre persone, ma anche scoprendo la nostra storia.
La tua “storia” prende forma solo nel momento in cui decidi come vuoi raccontarla, anche solo nella tua testa. Prima di quel momento esistono tasselli, frammenti, fasi, ritagli; ma non riesci a vedere tutti i collegamenti, i fili conduttori, i temi che ritornano ciclicamente.
Solo quando la ripercorri deliberatamente, cercando di ricomporre tutti quegli elementi in un quadro coerente, emerge la “trama”: un insieme di fili che lega tutti i pezzetti insieme e che rende perfettamente chiaro (prima di tutto a te stessa) come tutto quello che hai vissuto fino a oggi è stato utile e necessario per arrivare dove sei ora.
Per me è stato così. Ricostruire gli ultimi anni del mio percorso è stato utile per dare un senso alla storia che racconto a me stessa, prima ancora che agli altri, e a iniziare a volerle più bene.
E tu? Cosa hai visto in questa storia?