Il 13 gennaio 2018 a Torino era un sabato piovoso e terribilmente freddo.
Era l’ultimo weekend del secondo modulo del mio master in coaching ontologico-trasformazionale alla Scuola Europea di Coaching. E come ogni weekend di master mi sentivo terribilmente felice e completamente esausta.
In quel periodo lavoravo ancora in una società di consulenza e avevo ritmi e orari di lavoro insostenibili (nonostante mi occupassi proprio di sostenibilità!). Perciò partire da Bologna per arrivare a Torino il venerdì sera, trascorrere 2 giorni ad ascoltare, prendere appunti, mettermi in gioco, sperimentarmi nelle sessioni di coaching in supervisione, mettermi sulla sedia del “coachee” per i miei compagni di corso, e poi tornare a Bologna per ripartire con una nuova settimana… era davvero estenuante.
Eppure non avrei scambiato quei weekend con nient’altro al mondo.
Insomma, il 13 gennaio 2018, subito dopo la pausa pranzo, mi sentivo stanchissima e un tantino addormentata quando il mio insegnante annunciò: “Oggi realizzerete il vostro mandala personale, cioè una rappresentazione per immagini della vostra visione del futuro”.
E la mia reazione fu: PANICO. Puro, intenso, inconfondibile panico.
Per spiegare questa reazione è necessario un inciso, anzi due.
Il terrore della creatività
Il 13 gennaio 2018, se avessi dovuto descrivermi, mi sarei dipinta come una tizia iper razionale, agnostica, per nulla spirituale, fin troppo pragmatica, con uno spiccato terrore per tutto ciò che coinvolgesse la creatività.
La cosa buffa è che da bambina adoravo disegnare, ero capace di trascorrere giornate intere a inventare storie e a rappresentare mondi, e quando non avevo a portata carta, matita o colori mi dedicavo semplicemente a immaginare – fin nei minimi particolari – la vita che desideravo.
Poi qualcosa si doveva essere inceppato, per cui all’età di 35 anni guardavo a tutto ciò che aveva a che fare con la creatività, la spiritualità e l’intuito con un misto di attrazione e paura, come se chissà quale vaso di Pandora si sarebbe scoperchiato se solo mi fosse concessa di riprendere in mano un foglio di carta e una matita.
L’impantanamento assoluto
Il 13 gennaio 2018, se mi avessi chiesto cosa volevo per la mia vita di lì a X anni, avrei inventato una scusa pur di cambiare argomento o scappare via.
Si potrebbe pensare che, se ero arrivata fino al secondo modulo (di tre) di un impegnativo e costoso master per qualificarmi come Executive Coach, io sapessi quello che volevo. Tipo… diventare una Executive Coach?
Ma la verità è che a quell’epoca mi sentivo ancora molto impantanata, e quando provavo a pensare al futuro o a rispondere a domande come “dove mi vedo fra 3 anni?” o “cosa voglio fare da grande?” vedevo davanti a me solo una spessa nebbia lattiginosa, più o meno della consistenza del Nulla de La storia infinita.
Tanto che per decidermi finalmente a iniziare quella formazione in coaching (che desideravo inconfessabilmente da diversi anni) avevo dovuto auto-convincermi che lo facevo solo per curiosità, che non voleva dire niente, che poteva benissimo essere un hobby al pari del modellismo o dell’improvvisazione teatrale. Perché se avessi dovuto intraprendere quel percorso già con la convinzione che lo avrei sfruttato professionalmente non l’avrei mai intrapreso (ECCO quanto ero impantanata!).
Tornando al 13 gennaio 2018, questi due incisi servivano per darti un’idea più concreta dell’espressione di crescente terrore che si formò sul mio volto mentre, ascoltando il mio insegnante, capii che quel pomeriggio avrei dovuto a) tirare fuori una mia visione del futuro e b) rappresentarla esclusivamente attraverso immagini ritagliate da riviste oppure – orrore e raccapriccio – disegnate di mio pugno
Il primo pensiero, per via dell’inciso numero 1, fu: “Cos’è ‘sta fricchettonata?!”. Ma avevo grande stima della mia scuola e dei miei insegnanti, perciò scansai subito questo pensiero decidendo che, se ce lo proponevano, questo esercizio doveva avere un senso.
Il secondo pensiero, figlio dell’inciso numero 2, fu ben più angosciante e persistente, e si installò in un loop continuo che mi rimbombava nella testa mentre osservavo i miei compagni che si dividevano in gruppi e si attrezzavano di cartelloni, pennarelli e riviste. E questo pensiero martellante era: “Ma io non ce l’ho la visione del futuro!!!”
Seguì una mezz’ora di ansia. Mi sentivo i brividi e non riuscivo a pensare lucidamente. L’idea che di lì a poco avrei dovuto mettermi a lavorare a qualcosa che mi era IMPOSSIBILE concepire, e ancor peggio che poi avrei dovuto mostrare il mio foglio bianco ai miei compagni di corso, mi faceva sentire come quando a scuola venivo chiamata per un’interrogazione a sorpresa su un capitolo che non avevo nemmeno aperto.
E poi successe.
Mi sedetti per terra in un angolino tranquillo, feci un respiro profondo e affondai lo sguardo nel biancore del mio cartellone, dicendomi con gentilezza: “è il 13 gennaio del 2021: cosa c’è nella tua vita?”.
E improvvisamente la vidi: la mia visione del futuro di lì a 3 anni c’era, da qualche parte dentro di me, solo che la mia parte razionale era talmente occupata a girare in tondo che non se ne era accorta.
Iniziai a sfogliare le riviste che avevamo a disposizione, e una dopo l’altra mi vennero incontro immagini perfette per rappresentare ciò che stavo visualizzando. E anche, ancor più magicamente, trovai immagini che evocavano desideri che non avevo ancora messo a fuoco e che divennero reali nel momento in cui ritagliai quelle immagini e le incollai sul cartoncino.
Fu così che scoprii la visione che la mia razionalità impantanata non era riuscita a vedere, e cioè che il 13 gennaio 2021 sarei stata una coach a tempo pieno, avrei vissuto stabilmente a due passi dal mare, avrei avuto accanto il mio compagno e tanti progetti in cantiere, avrei potuto contare su vecchie e nuove amicizie, sarei diventata brava a prendermi cura del mio corpo e avrei trascorso molto tempo nella natura, che fosse nel nostro giardino o facendo lunghe passeggiate sulla spiaggia, in montagna, nei boschi.
Oggi è il 13 gennaio 2021, e quella visione si è realizzata.
Ho dato le dimissioni dal mio lavoro da dipendente lo scorso novembre, appena in tempo per festeggiare il mio compleanno con la sensazione di aver ricevuto il regalo più prezioso al mondo, un regalo che solo io avrei potuto farmi: la libertà di essere chi voglio essere.
E dal primo giorno di questo nuovo anno, sono rinata come libera professionista.
Al posto della nebbia di 3 anni fa oggi ci sono l’entusiasmo di essere finalmente approdata nella vita che volevo e la determinazione a voler costruire la mia professione di Coach con le mie mani, senza scorciatoie, tenendo sempre fede ai miei valori, mettendo in gioco tutte le esperienze che posso offrire e liberando tutta la generosità di cui sono capace, per aiutare altre donne a diventare chi vogliono essere (persino se ancora non lo sanno).
Da questa esperienza ho tratto alcuni insegnamenti (oltre alla visione che mi ha accompagnato fino a qui):
- anche quando intorno a te vedi solo nebbia e confusione, appena oltre il limitare del pantano c’è una visione molto chiara di ciò che desideri che aspetta solo che tu sia pronta ad accoglierla
- quando con la razionalità non riesci a vedere la via d’uscita al problema o alla situazione di stallo in cui ti trovi puoi sempre lasciar andare la creatività e l’intuito e fidarti dei nuovi punti di vista che ti offriranno
- rappresentare fisicamente e tenere sempre davanti a te la tua visione del futuro serve a mantenerla sempre viva e a lasciare che, anche quando non te ne accorgi, questa lavori dentro di te per ispirare le tue decisioni e le tue azioni
E adesso non resta che realizzare il prossimo mandala 🙂