Chiedere aiuto, e forse in generale chiedere qualcosa, è difficile per parecchie di noi. Ci diamo tante buone motivazioni per non farlo: “se faccio da sola faccio meglio”, “l’altro/a ci dovrebbe arrivare da solo”, “ho paura di disturbare”, “ho paura di ricevere un rifiuto e di restarne delusa” (o è già successo tante volte), “non so chiedere aiuto nel modo adeguato”, … E di certo non pensiamo che sia possibile imparare a chiedere aiuto.
Il problema con questo argomento così scomodo è che non lo possiamo ignorare neanche volendo: ci troviamo continuamente di fronte alla necessità di chiedere qualcosa agli altri o di ricevere richieste dagli altri, anche se non vorremmo e anche se facciamo di tutto per evitarlo.
Vivere questa necessità inevitabile come una difficoltà è fonte di tanti problemi, anche se a volte potremmo non esserne consapevoli.
Nella mia Maledizione dell’invito perfetto, per esempio, io non ero consapevole del problema. Ci ho messo tantissimo tempo (e tanti inviti) a capire che non ero capace di chiedere il supporto di cui avevo bisogno. Lo evitavo perché avevo paura di ricevere un rifiuto, sicuramente, ma anche perché ero vittima del mito della “Donna che non deve chiedere mai”, quella che riesce in qualunque impresa, in qualunque circostanza e senza tracce visibili di fatica.
Quello che non sapevo era che, rifiutandomi più o meno consapevolmente di esplicitare i miei bisogni e di fare delle richieste, mi perdevo la possibilità di ricevere.
In passato ero convinta, come tante Impantanate di successo, che gli unici gesti (di supporto, vicinanza o anche solo di ascolto) che avessero valore fossero quelli spontanei, cioè nati unicamente dall’intuito dell’altra persona. Se mi toccava dare qualche suggerimento, o peggio dire a chiare lettere ciò di cui avevo bisogno, non apprezzavo allo stesso modo quello che ricevevo.
Oggi ho imparato due cose:
- la favola del “dovrebbe arrivarci da solo” ha fatto più danni di Cenerentola che si sveglia solo con il bacio del principe, ed è altrettanto inventata. L’altro, chiunque egli/ella sia, non è tenuto a sapere ciò di cui abbiamo bisogno. Nessuno (nessuno!, nemmeno chi ci conosce meglio, nemmeno chi ci ama di più) ha il potere magico di leggere nella nostra testa. Quindi, semplicemente, pensare che “ci dovrebbe arrivare da solo” e rimanerci male se non ci arriva è una grandissima fregatura, fonte di tante inutili complicazioni
- le persone sono contente di sentirsi utili, mentre non sono contente di sentire che il proprio contributo non è apprezzato. Che siamo nella nostra relazione di coppia o nel rapporto con i nostri collaboratori, la persona dall’altra parte sarà molto più contenta di fare qualcosa che può davvero esserci utile, invece di sprecare energie facendo cose che noi non apprezziamo. E noi possiamo scoprire la magia di ricevere proprio ciò di cui avevamo bisogno…
Una delle cose che mi ha fatto – seppur lentamente – cambiare idea su questo aspetto è stato l’incontro con la Comunicazione Non Violenta, che ho studiato durante la formazione in coaching ontologico-trasformazionale.
“Le parole sono finestre (oppure muri)” di Marshall Rosenberg è un’introduzione alla Comunicazione Non Violenta e mostra con grande chiarezza la facilità con cui le dinamiche tra persone (in coppia, in famiglia, a lavoro, …) sono spesso inutilmente complicate dalla nostra incapacità di comunicare i nostri bisogni in un modo, appunto, “non violento”, cioè rispettoso del punto di vista dell’altro.
Da questo (e da altri testi che parlano della comunicazione come qualcosa capace di costruire ma anche di distruggere i legami con le altre persone) ho tratto numerosi spunti sulla questione del saper chiedere / saper ricevere una richiesta.
Tutti spunti scomodi da digerire e difficili da ignorare:
- solo se siamo in grado di ammettere di avere un bisogno possiamo riuscire a esprimerlo con una richiesta: chiedere presuppone accettare che siamo umane, non robot che non hanno bisogno di nulla, e che andiamo benissimo così
- in effetti, esiste un modo efficace e uno non efficace di chiedere, e non è una mera questione di forma, gentilezza o educazione, quanto piuttosto di chiarezza
- farci capire dagli altri è nostra responsabilità: quando una nostra richiesta non viene soddisfatta dobbiamo sempre chiederci sia se la nostra richiesta era stata chiara, sia se eravamo riusciti a farci capire dall’altro
- c’è molta differenza tra chiedere e pretendere: spesso mascheriamo una pretesa con una richiesta, anche senza esserne consapevoli, e questo influenza l’effetto che otteniamo
- può succedere che chiediamo qualcosa mentre vorremmo qualcos’altro (di più o di diverso). In questo scenario è praticamente impossibile restare soddisfatte, ma tante volte non ce ne rendiamo conto
- gli altri sono legittimi quanto noi, il che implica che dietro a un “no” c’è sempre un motivo legittimo (anche quando fa male, anche quando ci sembra inaccettabile)
Insomma, l’argomento è gigantesco. Eppure, dal mio punto di vista, già solo capire come formulare una richiesta in maniera corretta farebbe migliorare tante dinamiche e permetterebbe di cogliere qualche sfumatura in più dei nostri rapporti con gli altri.
Quindi… si può imparare a chiedere aiuto?
Io penso di sì, e vi propongo le 3 cose a mio avviso più utili per fare una richiesta che A) sia possibile soddisfare e B) metta l’altro in condizione di scegliere cosa fare senza tendergli “trappole”!
1 – Chiedi qualcosa, non NON qualcosa
Quante volte chiediamo a qualcuno di NON fare qualcosa? “Non stare tutto il giorno davanti alla tv”, “Non lasciare un casino in giro”, “Non mangiare la fodera del divano” (questo potremmo dirlo al cane, ma sai mai…). Se chiediamo di NON fare provochiamo molto probabilmente resistenza (perché suona come una critica) e soprattutto confusione, perché alla fin fine non stiamo dicendo cos’è che vorremmo invece. Quindi una richiesta formulata così… non è una richiesta.
2 – Chiedi comportamenti precisi, non concetti astratti
Magari potremmo chiedere “Potresti essere più ordinato?”. Meglio di “Non lasciare un casino in giro”, ma non è risolutivo: cosa intendiamo noi con “più ordinato”? Se per il nostro interlocutore ‘ordine’ significa non lasciare i libri sparsi ovunque ma impilarli tutti ordinatamente in soggiorno in una montagnola che parte da terra… lui farà così; noi però non saremo contente lo stesso e lo rimprovereremo, e allora lui si sentirà (giustamente) frustrato perché a noi “non va mai bene niente”.
Una richiesta funziona quando è chiaro cosa concretamente ci aspettiamo che l’altro faccia, vale a dire quando esprimiamo chiaramente i nostri ‘standard di soddisfazione’: “Puoi per favore raccogliere i libri che sono in giro e rimetterli nella libreria di là?” è una richiesta che è possibile soddisfare. Non è detto che lo farà, ma almeno saremo state chiare…
3 – Esplicita perché quello che stai chiedendo è importante per te
Per noi potrebbe essere importante che non ci siano libri in giro per tanti motivi: magari stanno arrivando ospiti e ci teniamo a dare l’impressione di essere persone che sanno badare la casa; magari teniamo molto ai nostri libri; magari siamo un filino ossessive e vedere la casa in ordine ci tranquillizza. Tutti questi motivi sono più che legittimi!
Il punto è… se l’altro non conosce la motivazione dietro la nostra richiesta potrebbe non capire quanto per noi è importante, e quindi potrebbe ignorare la nostra richiesta senza immaginare che questo ci ferirà.
Stai pensando “Ma… dovrebbe arrivarci da solo!”? Torna a leggere più su, potrebbe occorrere un ripasso! 🙂
C’è qualcosa, tra questi spunti, che vi suona vagamente familiare, che magari fate già oppure che vi viene proprio difficile?